Petrolio, ormai è una «sbolla». Mai così a precipizio dal 1988.

petrolioQual è il contrario di «bolla»? Il dizionario non ne registra nessuno. Per descrivere quello che sta accadendo sul mercato del petrolio forse bisognerebbe coniare un nuovo termine: «sbolla» o «debolla». Forse «implosione» potrebbe andare bene, per non attirarsi gli strali – perfettamente giustificati – dell’Accademia della Crusca. È tuttavia evidente che ormai i fondamentali non bastano più a giustificare una caduta tanto rovinosa dei prezzi: il Brent ha messo in fila otto settimane consecutive di ribasso, qualcosa che non si vedeva almeno dal 1988 (le statistiche più indietro non vanno) e in soli quattro mesi ha ridotto il suo valore di un terzo, precipitando da un picco di oltre 115 dollari al barile a metà giugno fino a un minimo quadriennale di poco più di 76 dollari. E probabilmente non è finita qui.

Molti analisti pensano che le quotazioni debbano ancora toccare il fondo e persino l’Agenzia internazionale per l’energia – di solito cauta nel fare previsioni sui prezzi – ha avvertito che «la pressione al ribasso potrebbe aumentare nella prima metà del 2015». «È sempre più chiaro – aggiunge l’organismo dell’Ocse – che è iniziato un nuovo capitolo della storia dei mercati petroliferi». L’offerta di greggio è in effetti molto più abbondante della domanda, a causa principalmente dello shale oil, che ha spinto la produzione degli Stati Uniti a superare 9 milioni di barili al giorno: una quantità straordinaria, che ormai la mette in competizione con colossi petroliferi del calibro dell’Arabia Saudita e della Russia.

 

 

 

 

 

 

di Sissi Bellomo –leggi su Il Sole 24 Ore

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