Investire con gli ETF SmartBeta

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Piacciono sempre di più. Gli Etf smart beta hanno strategie di investimento “intelligenti”, che vengono costruite replicando indici basati su ponderazioni diverse dalla semplice capitalizzazione di mercato, quella dei “normali” Etf. I risparmiatori li apprezzano: in Europa, il valore delle masse gestite di questi prodotti è passato da poco più di un miliardo nel 2009 a quasi nove miliardi nel 2013, con un +900% in quattro anni (dati Morningstar). Ma come funzionano questi prodotti sofisticati? E soprattutto: convengono davvero? Prima di fare un giro di opinioni tra gli esperti, ricordiamo in breve cosa sono gli Etf.

Gli smart beta
E gli Etf smart beta? Sono una razza particolare, perché “lavorano” con strategie che non si limitano a replicare passivamente la capitalizzazione dell’indice di riferimento (il benchmark). C’è per esempio la “Equal Weight”, che assegna la stessa ponderazione a ogni componente dell’indice evitando sovraesposizioni ad azioni con grandi capitalizzazioni e quindi attenuando la concentrazione su pochi titoli, nel nome della diversificazione. Poi c’è la strategia “Minimum Variance”, che mira ad abbassare il profilo di rischio del portafoglio:ottimizza l’indice di riferimento sovrapesando le azioni con bassa volatilità, cioè che si muovono al rialzo o al ribasso con moderazione. Il tutto evitando di mettere assieme un portafoglio troppo concentrato per titoli o settori, sempre nell’ottica di ridurre il rischio. Ma ci sono anche i “Fundamental Weighted”, che che utilizzano misure finanziarie indipendenti dal prezzo di Borsa, ad esempio il flusso di cassa, gli utili, oppure la politica di dividendi (quest’ultimo è il caso dei “Dividend Weighted”).

Ma funzionano? Dipende
Gli esperti sono però divisi sull’effettivo funzionamento di queste strategie sofisticate (spesso più costose più di quelle di replica passiva dell’indice). «Il pericolo degli smart beta è che buona parte delle strategie sono create e ottimizzate su dati passati, quindi su fasi di mercato che potrebbero non ripetersi», spiega per esempio Colin McLean, fondatore e ceo di SVM Asset Management. E in alcune fasi di mercato possono fare peggio degli Etf “passivi”, avverte Simon Ewan, Morningstar managing director dell’area Emea.
«Dalle nostre analisi emerge che non ha molto senso chiamare “smart” queste strategie – sottolinea Ursula Marchioni, Head of iShares EMEA Equity Strategy & ETP Research – perché per ciascuna di esse ci sono delle situazioni di mercato in cui risultano vincenti, ma anche altre da cui escono perdenti. I cosiddetti Beta che impiegano strategie di ponderazione “non tradizionali” rappresentano infatti una deviazione verso specifici fattori di rischio o specifiche esposizioni. Tali deviazioni possono generare una performance migliore rispetto al benchmark in determinate condizioni di mercato, in altre condizioni la performance può essere peggiore di quella dei Beta tradizionali».
La morale? Come dice Rob Arnott, presidente della società di analisi Research Affiliates, gli “smart beta” in realtà non sono più intelligenti o più stupidi degli altri, semplicemente funzionano in modo diverso. E perciò possono dare risultati migliori o peggiori della media a seconda del tipo di mercato. In due parole: non sono strumenti miracolosi, ma nemmeno dannosi. Solo, bisogna informarsi bene prima di acquistarli, valutandone pro e contro. Ricordandosi di utilizzarli solo in termini di diversificazione del portafoglio.

 

 

 

 

 

 

leggi su- Il Sole 24 Ore – di Enrico Marro

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